Nelle vicinanze di Cuzco esistono siti archeologici di facilissimo accesso e di incredibile fascino anche se talvolta non molto pubblicizzati e conosciuti; Tipón è senza alcun dubbio uno di questi luoghi.

Collocato a circa 5 Km dalla frequentatissima arteria che da Cuzco porta verso Puno ed il lago Titicaca, è costituito da terrazzamenti, recinti cerimoniali, edifici in pietra e fontane, il tutto molto ben conservato ed altrettanto ben tenuto. Nel complesso si tratta di ben 2200 ettari che appartenengono al municipio di Oropesa, parte integrante della provincia di Quispicanchis.

Appena lasciata la strada principale, assai prima di arrivare alle rovine, si trova l’omonimo villaggio tra le cui povere case incontriamo un raro ed eccezionale edificio rurale in adobes, la cui parte più antica risale al primo periodo coloniale, anzi a dire il vero a periodi ancora più antichi, visto che gli spagnoli sfruttarono mura e strutture di un preesistente edificio precolombiano, ancor oggi ben in vista ed evidenti.

Per chi non avesse confidenza coi termini andini, gli adobes sono i classici mattoni in argilla e tapia (una pianta erbacea estremamente comune ed assai resistente) essiccati al sole ed utilizzati in buona parte delle Ande centrali e centro meridionali: sembra incredibile quanto questo tipo di manufatto, apparentemente tanto rustico e primitivo, utilizzato da tempo immemorabile sulle Ande, possa resistere agli agenti atmosferici ed alle vicende dell’uomo e del tempo.

Durante il periodo coloniale il villaggio ebbe modo di godere di una discreta prosperità e quando, all’incirca nel 1650, il distretto venne dichiarato proprietà dei Marchesi di San Lorenzo di Valleombrosa. La più ricca famiglia del paese, gli Esquivel y Jarava, che dimorava sin dal 1560 nella ‘Casona’ rurale riuscì ad appropriarsi del titolo.
Mano a mano che i possedimenti e la fortuna della famiglia andarono aumentando, la casa si fece sempre più grande e lussuosa, raggiungendo l’apice del proprio splendore intorno alla metà ‘700; da quel momento iniziò un lento ed inarrestabile declino, cui venne posto fine solo nel 1976 con un controverso progetto di restauro. Il villaggio è oggi, comunque, tagliato fuori dai flussi turistici dei grossi bus che nei loro programmi inseriscono talvolta il nucleo principale del complesso incaico, evitando però di fermarsi nel piccolo villaggio.

Collocato a 3500 mt s.l.m. ed a 27 Km da Cuzco, Tipón rappresenta uno dei tanti gioielli dell’archeologia che il Perù è in grado di regalare al turista. É probabile che si debba identificare il complesso con l’antico centro di Muyna o Moyna, menzionato da quasi tutte le antiche cronache spagnole; il termine Tipón appare solo in seguito, nel corso del ‘600 probabilmente come deformazione della parola quechua ‘Timpuj’ che significa ‘acqua che bolle’, probabile riferimento al roco gorgogliare dell’acqua presso la fonte principale del complesso.

Certo è che la dimensione delle opere e l’accuratezza dei dettagli non lascia adito a dubbi circa la sua importanza, ma ciò che oggi desta maggiormente l’attenzione e l’ammirazione del visitatore è la grande estensione e precisione delle opere idrauliche, degli acquedotti e dei canali di irrigazione, abbelliti all’interno del sito da numerose fontane e piccole cadute d’acqua che sembrerebbero avvalorare la tesi secondo cui il complesso sia servito da santuario dedicato al culto dell’acqua e della ‘Pachamama’, la madre terra.

Sempre che la storia degli Imperatori, propinataci da Garcilaso e dalla maggior parte degli antichi cronisti spagnoli sia da prendere alla lettera, Victor Angles identifica in Tipón la fortezza rifugio dell’Inca Wiracocha al tempo in cui le tribù Chanka (provenienti dalla zona di Ayacucho) cercarono di conquistare Cuzco. La storia vuole che questo Inca ed il suo legittimo erede, il figlio primogenito Urcos, decidessero di abbandonare Cuzco alla potenza degli invasori, rifugiandosi secondo Angles ed i suoi sostenitori a Tipòn appunto, mentre secondo altri studiosi il rifugio scelto fu Huchuy Qosqo (nelle vicinanze dell’attuale città di Calca). Ad un simile atto di viltà si oppose però un altro dei figli dell’Inca, Cusi Yupanqui che, radunati i più valorosi abitanti del Cuzco, sconfisse i Chanka offrendo inutilmente al padre la possibilità di tornare in città in qualità di legittimo sovrano; quest’ultimo rifiutò però l’offerta rimanendo in esilio volontario nella mitica cittadella sino alla morte.

Cusi Yupanqui prese invece le redini del potere e le sue opere ed imprese divennero leggendarie, al punto che gli venne aggiunto il nome di Pachacuti, la cui traduzione letterale è ‘Colui che rovescia il mondo’, probabilmente nel senso che cambiò e trasformò radicalmente lo stato Incaico mettendo mano ad una serie di opere e riforme dal carattere decisamente rivoluzionario.

La maggior parte dei canali di irrigazione sono ancora perfettamente funzionali e funzionanti, fornendo acqua ai contadini dell’odierno villaggio ed ai campi dell’intera vallata; anche molti terrazzamenti continuano ad essere proficuamente sfruttati secondo le antiche tecniche; la produttività assai elevata rende, ancor oggi, un evidente e tangibile omaggio alle conoscenze ed abilità di contadini ed ‘agronomi’ precolombiani.
Le linee rette e la geometria spigolosa del sistema idraulico sembrano voler riprendere la topografia del luogo, dandone una rappresentazione geometrica ed astratta, entrambe caratteristiche tipiche dell’arte precolombiana.

La posizione e la conformazione delle 13 terrazze che costituiscono il nucleo centrale di Tipón sono tali da dar l’impressione di trovarsi al centro di un immenso palcoscenico piuttosto che su dei semplici campi destinati al coltivo. In effetti esse sono talmente ampie e ben rifinite, impreziosite da fontane e giochi d’acqua, circondate da edifici posizionati su creste che racchiudono il sito su tre lati da dare l’impressione di trovarci di fronte ad un gigantesco teatro a cielo aperto! Durante i riti e le festività, la gente comune si collocava probabilmente nelle parti più basse della valle, un po’ come oggi si fa nelle platee, nobili, religiosi ed elites locali potevano invece osservare i festeggiamenti dall’alto, appena fuori dagli edifici o dall’interno di essi, sfruttando le classiche finestrelle trapezoidali.

Da questi ed altri luoghi elevati e collogati in posizioni strategiche i militari potevano non solo controllare le zone circostanti al fine di prevenire eventuali attacchi a sorpresa. ma erano in grado di comunicare per mezzo di torce o specchietti metallici con postazioni poste a distanza facendo così giungere in brevissimo tempo eventuali messaggi sino a Cuzco ed oltre; il complesso era ed è ancora colegato anche ad una delle arterie principali dello stato incaico (conservatasi oggi solo a tratti e parzialmente) che permetteva spostamenti rapidi e sicuri con gli altri insediamenti pià importanti.

Ma la storia di questo fantastico luogo va ben oltre l’arrivo degli ingenieri e militari incaici che pure dovettero portarlo al suo massimo splendore.
Numerosissimi e spesso ancora poco studiati sono i petroglifi incisi sulle rocce laviche provenienti dal monte Cruzmoqo, un antico vulcano nelle cui vicinnze sono ancor oggi ben visibili i resti della sua antica attività eruttiva; questi disegni incisi sulle rocce laviche appartengono a periodi molto differenti ma i più antichi sembrano risalire addirittura al 1.000 a.C. cioè sin dal periodo formativo; testimoni di questo susseguirsi millenario di varie popolazioni e culture sono i numerosissimi cocci in ceramica, ancor oggi facilmente rinvenibili un po’ ovunque i cui disegni e caratteristiche evidenziano stili tipici di culture ben differenziate nel tempo, dalla cultura Marcavalle si passa a quella Chanapata, Qotakalli, Wari, Killke e Lucre, sino ad arrivare a quella Inca.

Tra il 1.000 ed il 1200 d.C. il luogo divenne uno sei centri principali della popolazione Pinahua, la cui capitale è stata identificata nel vicino centro di Chuquimatero; essi dovevano far parte della confederazione Ayarmaca, già sottomessa ai tempi di Yahuar Huacac e che nel passato dovette esser stata parte integrante dell’impero Wari. Furono probabilmente gli abili ingenieri ed architetti Wari a fornire il contributo decisivo al progetto ed alla costruzione delle prime opere civili e difensive ed è a questo periodo che appartiene la poderosa muraglia in pietra, lunga oltre 5 Km. spessa in certi punti quasi due metri ed alta da 5 a 10 mt. Oggi è in parte semidistrutta ma ancora ben visibile ed evidente.

Sulla montagna che domina la cittadella si trova anche un cimitero di discreta estensione; nel corso del tempo esso è stato ripetutamente saccheggiato dai cercatori di tesori, così come molte aree del sito, in particolare le varie località identificate dai disegni rupestri: era infatti idea comune che i petroglifi fossero indicatori sicuri circa l’ubicazione di eventuali tesori nascosti. Anche le vicine miniere di argento, ormai esaurite o comunque antieconomiche da molto tempo scatenarono l’insaziabile avidità degli uomini di tutte le epoche dopo la conquista ispana; i resti degli scavi di questa specie di febbre furono descritti già agli inizi del ‘900 ma continuarono sino ai giorni nostri e sono tuttora ben visibili.

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